Innanzitutto BUON ANNO!!!
Ogni tanto mi ri-sveglio dal torpore in cui sono caduto in questi ultimi mesi, in cui passo dal "latitante", al "menefreghista", e moti di orgoglio precario mi portano a pensare a questo tanto dimenticato blog.
Ma bando alle scuse, ecco il post di oggi. Post che voglio dedicare ad un libro, che non ho ancora letto ma che dalla recensione mi ha incuriosito e probabilmente leggerò presto.
Il libro in questione è "IL LAVORO NON E' UNA MERCE" del sociologo Luciano Gallino.
Una sua biografia si può trovare in questo link, oppure in questo. Mentre una recensione del libro si trova nel sito Unilibro.it.
Il sottotitolo del libro è "Contro la flessibilità", virtù tanta richiestaci da Ue, Ocse, Fondo monetario internazionale (Fmi), politici, economisti e, naturalmente, imprenditori. Strano però, che a chiedere a gran voce flessibilità siano chi è veramente poco flessibile...
Gallino per far valere la sua tesi, riprende la Dichiarazione di Filadelfia (1944) dell'Organizzazione internazionale del lavoro. Secondo Gallino le persone coinvolte in lavori "flessibili" a vario titolo sono addirittura tra i 10 e gli 11 milioni. Flessibilità per la stragrande maggioranza imposta, subita, e non per scelta.
Personalmente ho letto la recensione al libro su un articolo di Lelio Demichelis ("La flessibilità è una virtù: ma non per tutti", "La Stampa" 12-01-2008), in cui il giornalista evidenzia i passi salienti del libro di Gallino.
Gallino dice che la flessibilità mette (e sempre di più vuol far mettere) in competizione 500 milioni di lavoratori Occidentali (che a poco a poco devono perdere i loro diritti), con 1,5 miliardi di nuovi lavoratori (Cina e India in primis), in cui i diritti e salari sono minimi.
Porta a conoscenza di una statistica "inquietante" quanto risaputa, cioè che il 55% delle merci esportate in Occidente dalla Cina, sono prodotte per conto di imprese O C C I D E N T A L I!!!
La soluzione secondo Gallino? Eliminare le cause della "flessibilità", con una "politica del lavoro globale". A chi lo accusa di "rimpiangere il passato", Demichelis (e io mi associo), fa notare che è niente di più sbagliato, a meno di voler considerare i diritti politici, civilli e sociali come una cosa inutile del passato.
Un ultimo sassolino che voglio togliermi... Prego i gentili impreditori (o rappresentanti) di smetterla di dire che sono le imprese il motore dell'Italia: siate più precisi per lo meno, il motore dell'Italia sono i lavoratori sfruttati.
Alla prossima!
domenica 13 gennaio 2008
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